Stando all’analisi logica di questo nostro motto nazareno, la “caritas” si presenta soltanto come una delle tre dimensioni di vita nazarena, alla stregua delle altre due. Secondo il Vangelo, invece, la “caritas”, intesa come amore fraterno, amore del prossimo, costituisce il “fondamento” di tutta la fede e di tutta la vita cristiana: “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amate gli uni gli altri” (Gv 13,35); “ Se uno dice di amare Dio e non ama il fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Quindi la “caritas” non può essere considerata semplicemente come una delle tre dimensioni, ma diventa la “ragion d’essere” delle altre due.

E così, diventa un controsenso pregare (oratio: esercizi di pietà, rosari, riti, celebrazioni, sacrifici, novene…), lavorare ( labor: attività, impegni, opere…), se non si ama il confratello, se non ci amiamo fraternamente, se non viviamo “in fraternità” la nostra vita comunitaria. Certo, l’amore fraterno senza la preghiera si raffredda e può scomparire, ma la preghiera senza l’amore fraterno è certamente vuota e sterile.

L’amore del prossimo, l’amore fraterno (la caritas) non è una semplice virtù morale, ma è “l’elemento costitutivo”della vita cristiana e quindi, a più forte ragione, della nostra vita comunitaria. Non è sana spiritualità cristiana mettere “al centro” le pratiche di pietà e le attività apostoliche anziché l’amore del prossimo, l’amore fraterno. Ogni preghiera, ogni celebrazione, ogni messa, ogni atto di culto, ogni impegno apostolico, ogni sacrificio…che non incida e non induca all’amore del prossimo, alla vita fraterna in comunità per noi consacrati, è pura illusione, è puro spiritualismo. Una spiritualità cristiana autentica porta sempre a cercare e incontrare Dio nelle persone (fratelli, confratelli). Diversamente si corre il rischio di essere tanto pii, devoti e impegnati in attività apostoliche per Dio, ma duri, freddi e indifferenti con i fratelli (confratelli). E sovente, tanto più si crede che siano le pratiche religiose, le attività apostoliche a farci incontrare Dio, tanto meno si farà attenzione e ci si curerà del fratello . La preghiera(oratio) e il lavoro (labor), senza amore fraterno, rischiano di essere addirittura dannosi, perché ci fanno sentire più bravi, più santi, superiori agli altri: “ O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri…”(Lc 18,11). Non le preghiere, non il lavoro, non l’osservanza della regola, non le pratiche di pietà, non la coscienza pulita… ma l’amore fraterno (caritas), è l’unico segno certo di amore autentico per Dio: “Amate-vi”…e non “amate-mi” (Gv 13,34); “Se vi amate”…e non “se mi amate”(Gv 13,35), ci dice Gesù. E il prossimo, il fratello va amato per se stesso, in quanto essere-umano, e non “per amore di Dio, “per carità cristiana” ( come si suole dire). Va amato con Gesù, come e perché lo ama Gesù, e non “per amore di Gesù”: “Amate-vi come io ho amato voi”(Gv 13,34). Amare il fratello “per amore di Gesù”, perché “vedo Gesù” nel fratello, non si ama il fratello, ma il Gesù che si crede di vedere nel fratello. Questo non è amore del prossimo, è ipocrisia: il fratello in quanto uomo rimane non amato e viene utilizzato come strumento per la propria santificazione. E strumentalizzare l’uomo in nome di Dio è la più grave offesa al “Dio fatto uomo”, perché l’essenza etica della fede cristiana sta nella dignità e nel rispetto assoluto della persona umana, voluta dal Creatore fine a se stessa. Un Dio che ci inducesse a strumentalizzare l’ uomo è un falso Dio: è un idolo!

Amatevi”(Gv 13,34): è l’unico comandamento che Gesù ci ha lasciato, sintesi di tutti i comandamenti e “dal quale dipende tutta la Legge” (Mt 22,40). Dio non chiede di essere amato. Vuole che noi accogliamo il suo amore per distribuirlo agli altri. Vuole che noi rispondiamo al suo amore amando il prossimo, amando i fratelli, amando l’uomo. Il giudizio finale ( Mt 25, 31-46) non riguarda l’osservanza della legge, gli esercizi di pietà, i gesti di culto, le opere e le attività religiose, le devozioni personali…, ma le azioni umane di misericordia, l’amore del prossimo, il bene che abbiamo o non abbiamo fatto ai nostri fratelli…(e confratelli)…

Pertanto, proprio partendo dalla S. Famiglia di Nazareth, scuola di umanità, se vogliamo rendere “umanizzante e cristianamente autentica” la nostra vita, la nostra spiritualità nazarena, nell’ottica dell’ Incarnazione di Dio (Dio fatto uomo), dobbiamo porre “al centro” l’amore fraterno. Solo così Dio non scompare, non viene estromesso. Perché Dio non sta al traguardo, ma “in principio”. Perché Dio è amore, è la fonte dell’amore: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”(Gv 15,16); “Non siamo noi ad amare Dio, ma è Dio che ama noi”(1Gv 4,10):“Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo”(1Gv 4,19)….E Dio vuole che noi lo amiamo amando il prossimo. E’ l’uomo, è il confratello che noi dobbiamo amare per incontrare Dio. Dove c’è amore per l’uomo, per il fratello, lì c’è amore per Dio. Chi pensa di amare Dio senza amare l’uomo (fratello-confratello…) non ama neppure Dio (cfr Mt 25,31-46).

E allora, è in questa prospettiva che possiamo veramente raggiungere la “pax nazarena” nel senso originario ebraico del termine “shalom”, che vuol dire non tanto e non solo assenza di conflitti, di tensioni, di disaccordi, di scontri…ma “ bene-essere”, cioè stare bene, vivere felici, nella piena felicità umana, in rapporto a se stessi, agli altri, alle cose, alla natura, a Dio. E’ la pace di Cristo: “Pace a voi (Gv 20,19); “Vi do la mia pace” (Gv 14,27). E’ la pace come pienezza di vita umana buona e felice, che deriva appunto dall’amore fraterno, proprio perché amare il fratello vuol dire far sì che il fratello abbia la felicità, abbia la vita, così come ha detto Gesù: “ Sono venuto perché abbiano la vita ( la felicità è vita!) e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

Questo, infatti, è il “senso ultimo” della creazione: Dio crea l’uomo perché l’uomo sia felice! Il desiderio di Dio è la felicità dell’uomo . Dio vuole che l’uomo sia felice in questa vita, per poi continuare ad esserlo in pienezza nella “vita risorta”. E Gesù ci ha detto che la felicità non consiste in ciò che gli altri dovrebbero fare per noi, ma in ciò che noi facciamo per gli altri: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35). E così, rendendo felici gli altri (fratelli-confratelli), saremo tutti più felici e Dio farà festa con noi.

Pertanto, secondo l’unico comandamento nuovo lasciatoci da Gesù, il nostro motto nazareno potrebbe essere formulato più appropriatamente in questo modo: “IN ORATIONE ET LABORE: CARITAS et PAX” .

Vittorino Siviero