I FRATELLI TESTIMONI DELLA SANTITÀ DEL CURATO D’ARS
I Fratelli Gabriele, Girolamo ed Atanasio furono chiamati davanti al tribunale diocesano che istruiva la causa di beatificazione del Curato d’Ars, insieme a molti altri testimoni. È il così detto Processo dell’Ordinario (P. O.) destinato a provare la fama di santità e la pratica delle virtù cristiane del Servo di Dio. Il tribunale ebbe la maggior parte delle sue sessioni ad Ars. La testimonianza del Fr. Gabriele, tuttavia, fu raccolta dal tribunale nel palazzo episcopale di Belley il giorno 12 settembre del 1864. Nel testo manoscritto la testimonianza di Fr. Gabriele occupa nove pagine (1485-1493) contando anche le domande ed altre formalità. La testimonianza del Fr Girolamo, che fu chiamato a dichiarare in luglio del 1863, è molto più estesa (pagine 532 a 576 nel manoscritto). E quella di Fr. Atanasio lo è ancora di più: con i dati che apporta si potrebbe scrivere una vita del santo Curato ed un ampio trattato sulle sue virtù. Il Fr. Atanasio fece la sua dichiarazione in 11 sessioni davanti al tribunale, tra il 31 luglio 1863 ed il 10 settembre dello stesso anno. La sua attestazione totalizza nel manoscritto 97 pagine. Ad esse bisogna aggiungere la sua dichiarazione nel Processo Apostolico (P. A.) che ebbe luogo nel 1876. La testimonianza del Fr. Atanasio nel Processo Apostolico comprende altre 63 pagine. Durante questo secondo processo il Fr. Atanasio conferma le sue dichiarazioni fatte nel P. O., completa alcune spiegazioni e continua in un certo modo la storia della peregrinazione di Ars narrando nuovi miracoli, parlando del sepolcro del santo Curato e delle reliquie, raccontando la visita di alcuni personaggi, etc.
Nei comma precedenti abbiamo avuto occasione di leggere alcune parti del contenuto della testimonianza del Fratel Gabriele, nella quale tratta delle relazioni tra i due e sottolinea in modo speciale l’umiltà del Padre Vianney e la sua generosità verso la Congregazione. Presentiamo di seguito la testimonianza del Fr. Gabriele nella sua totalità e alcune parti di quelle dei Fratelli Girolamo ed Atanasio.
Ma ricordiamo previamente che il Fr. Gabriele aveva scritto già sulla santità del Curato di Ars nel suo libro L’Angelo conduttore dei pellegrini di Ars (1850), in questi termini: “Il Padre Vianne, parroco di Ars, ha ora 69 anni; è stato sempre dotato di un’ammirevole semplicità; la vita povera e ritirata che conduce lo mette al sicuro dai pericoli. Dappertutto si mostra degno del suo sacro ministero. I tratti della sua figura benigna annunciano la pace e la serenità della sua bella anima; la sua bontà e la sua mansuetudine vincono tutti i cuori. Il cielo lo favorì con il dono prezioso di toccare le anime e di operare conversioni meravigliose. I suoi discorsi tanto ferventi hanno un potere molto speciale per ottenere da Dio grazie straordinarie, e, come già si segnalò, ottengono prodigi la cui fama si espande dappertutto, dovuto al concorso di tanto numerosi pellegrini. Se noi gli diamo prematuramente il nome di Santo, è perché giudichiamo l’albero dai suoi frutti: questo uomo di Dio sa che non si può essere santo nel cielo se uno non lo è sulla terra, e che non bisogna aspettare il momento della morte per arrivare ad esserlo. Il P. Vianney ha lavorato alla sua santificazione fin dalla gioventù. E chi, nel nostro secolo, pratica in più alto grado le virtù cristiane e sacerdotali? Questo Sacerdote venerabile vive ancora, e sa che nessuno si salverà se non chi abbia perseverato nell’amore e nella grazia di Dio: i giorni che gli sono riservati, ed il cui prolungamento noi chiediamo, non serviranno che ad aumentare la sua ricompensa e ad aggiungere altre pagine di esemplarità a quello che abbiamo appena detto. Ma non dimentichiamo che non servirà a niente per l’eternità ammirare la vita dei santi, se, al loro esempio, non pratichiamo fedelmente le leggi di Dio e della Chiesa.”
La testimonianza del Fr. Gabriele
Il Reverendo Parrodin, Superiore del Seminario Maggiore, mi convinse ad andare ad Ars per parlare al Servo di Dio e raccomandargli la Congregazione nascente. Ho seguito tale consiglio e sono arrivato ad Ars, senza farmi riconoscere in alcun modo e niente avrebbe potuto indicare esternamente chi fossi. Dopo aver pregato davanti al Santissimo Sacramento, mi presentai in sacrestia mentre il Servo di Dio si stava vestendo per celebrare la Santa Messa. Restai vivamente impressionato vedendo il suo aspetto da cui trasparivano i tratti della santità.
Sono sempre convinto che, salutandomi, mi chiamò per nome e che, dopo aver chiesto mie notizie, s’informò della situazione della piccola Congregazione della Sacra Famiglia. “Ma, signor Curato, ripresi iocommosso, come mai mi conosce?” “Oh! – rispose con un gentile sorriso – gli amici del buon Dio devono ben conoscersi.”
Mi diede poi appuntamento per dopo la messa e indossò i paramenti sacri. Nella conversazione che ebbi con il Servo di Dio al momento stabilito, egli mi testimoniò ogni sorta d’interessamento, mi felicitò per il fatto di aver dato alla mia Congregazione il nome della Santa Famiglia, mi preannunciò che avrebbe prosperato malgrado molti ostacoli e mi raccomandò di non scoraggiarmi mai. Ha amato a tal punto la Congregazione da inviarci circa quaranta postulanti.
Una seconda volta mi recai ad Ars e appresi dalla bocca stessa del signor Curato che aveva realizzato una fondazione per l’istruzione gratuita dei ragazzi della parrocchia di Ars. Mi manifestò anche il suo stupore perché non avevo ancora inviato i Fratelli. “Sono un poco arrabbiato con lei; ho versato diciottomila franchi alla cassa diocesana.” Mi pregò d’inviare i Fratelli al più presto possibile. Poco tempo dopo potei inviare i nostri Fratelli a dirigere la scuola da lui fondata.
Come prova della sua attenzione verso di noi, il Servo di Dio ci aiutò concretamente per l’arredamento della casa di Ars; inoltre costruì e adornò la cappella. Il nostro noviziato di Belley possiede, come prezioso ricordo della sua generosità e della sua amicizia, un ostensorio di grande valore, un ricco ciborio, delle ampolline d’argento con il loro piattino. Inoltre ha avuto la bontà d’istituire una messa perpetua che si deve celebrare tutte le domeniche dell’anno nella nostra cappella per la conversione dei peccatori.
Altre venti messe sono state istituite con la stessa intenzione in giorni non stabiliti.
In una precisa circostanza avevo veramente bisogno della somma di milleduecento franchi. Non potendo trovarla a Belley, ebbi l’idea di rivolgermi al Servo di Dio; gli scrissi e gli feci consegnare la lettera da fr. Girolamo. Appena ne ebbe preso conoscenza, disse: “Mi dispiace molto di non poter soddisfare il desiderio del suo buon Superiore. Prenda, ecco tutto ciò che ho”. E presentò a fr. Girolamo cinque soldi, dicendogli: “Non bastano neppure per pagare il postino. Preghiamo perché il buon Dio gli venga in aiuto e possa trovare questa somma.” E si recò al confessionale. Ammirevole Provvidenza di Dio!, la prima persona che ascoltò in confessione gli presentò 1200 franchi per le sue opere di bene! Uscì subito con grande contentezza e disse a fratel Girolamo: “Vede quanto sono potenti le sue preghiere: Dio l’ha esaudita: ecco la somma di cui il suo Superiore ha bisogno. Gli scriva di venire a prenderla.” Accolsi l’invito e, siccome gli testimoniavo la mia riconoscenza e gli esprimevo nello stesso tempo la mia sorpresa, mi rispose con un’umiltà che mi edificò profondamente: “Oh! E’ il buon Dio che ha ascoltato le preghiere di fr. Girolamo e di tutti quelli che pregano di buon cuore.”. “Signor Curato – gli dissi – le renderò la somma tra qualche tempo”. “Suvvia, amico mio, io non presto, io le dono questa somma, è il buon Dio che gliela invia. Le regalerei volentieri anche altro se non mi si mette in imbarazzo”. (Je vous donnerai bien quatre chose si on ne me gêne pas).
Da 36 anni soffrivo per una doppia ernia; ne parlai al Servo di Dio. Mi rispose. “Eh, amico mio, è un dono del buon Dio. Ho anch’io una doppia ernia; soltanto che io non ne guarirò, ma lei, lei ne guarirà, purché faccia subito una novena a Santa Filomena.” Non credevo di guarire: così feci una novena, senza troppa fiducia. Quale non fu la mia sorpresa quando, alla fine della mia novena, mi ritrovai guarito! Abbandonai la mia fasciatura e da allora non ne ho più risentito.
Per favorire la devozione dei pellegrini d’Ars ebbi l’idea di scrivere un libretto con questo titolo: “L’Angelo guida dei pellegrini d’Ars”. Prima d’iniziarlo, consultai il Servo di Dio che accolse con attenzione questo progetto. Aggiunse anche: “Lo faccia subito, io m’incarico di fargliene vendere 60 esemplari al giorno.” Io composi il libro, lo sottoposi all’approvazione del Vescovo diocesano. Quando fu stampato ne portai 6 copie al Vianney, che le ricevette con gioia e gratitudine, dicendomi che il libro avrebbe fatto tanto bene. Nella Prefazione avevo avuto la disavventura di descrivere la sua vita con qualche tratto rapido e di presentarlo come un modello di virtù e di santità. L’indomani mattina, avendomi scorto in chiesa, con un’aria afflitta e straordinariamente severa mi fece cenno di avvicinarmi. Lo seguii in sacrestia, chiuse la porta e mi disse animatamente, versando lacrime copiose:
- “Non l’avrei mai creduta capace, amico mio, di scrivere un libro perverso.”
- “Ma, perché?”
- “È un cattivo libro, è un cattivo libro. Mi dica subito quanto le è costato, la rimborserò e lo bruceremo.”
Fui preso da grande stupore e gli domandai di nuovo in che cosa il libro era cattivo
– “È un cattivo libro, è un cattivo libro”.
– “Ma in che cosa, reverendo?”
– “Ella parla di me come di un uomo virtuoso, mentre io non sono che un povero ignorante, il più miserabile dei preti.”
– “Ma, reverendo, ho fatto vedere questo libro a sacerdoti preparati, Mons. Devie ne ha rivisto le bozze e ha dato la sua approvazione: non può essere un cattivo libro”.
Le lacrime non facevano che raddoppiare: “E va bene, cancelli tutto ciò che mi riguarda e allora sarà un buon libro”.
Al mio ritorno da Ars, informai immediatamente Monsignore di tutto quanto era successo. “Che lezione di umiltà dà a me e a lei questo santo prete” mi disse il Prelato, aggiungendo tuttavia: “Si guardi bene dal togliervi qualcosa, io glielo proibisco”. Seguii il consiglio del mio Vescovo, ma il Servo di Dio non volle mai apporre sul libro la firma che metteva così facilmente sui libri e sugli oggetti di pietà che gli presentavano.
Ecco tutto ciò che avevo da dire riguardo alla Congregazione della Sacra Famiglia e ai suoi rapporti con il Curato d’Ars.
Firma di fratel Gabriele Taborin
La testimonianza del Fratel Girolamo
“Il Servo di Dio mostrava gran zelo per tutto quello che si riferisce al culto divino. Voleva per la chiesa begli ornamenti e si sentiva felice quando poteva acquisirli. Siccome io ero incaricato della sacrestia mi diceva con gioia: “Bisogna tenere bene la casa di Dio, bisogna curarla molto bene.” Con il suo grande spirito di fede ed il suo amore per la povertà, mi diceva anche: “Una vecchia veste talare va bene con una bella pianeta”… Tra tutte le cerimonie del culto divino, gli piaceva usare una grande solennità nella processione con il SS. Sacramento. Agli inizi curava lui stesso gli altari per la processione e voleva che fossero i più belli possibile. Portava lui stesso il SS. Sacramento. Alla fine della sua vita, poiché era già molto debole, gli domandarono dopo la processione se era stanco. “Come potevo esserlo, replicò, se era Lui che mi portava” (P. O., p. 545).
“Quando il Padre Vianney celebrava il santo Sacrificio, credevo di vedere al principio della messa un altro San Francesco di Sales. Mi emozionavo fortemente soprattutto quando al principio della consacrazione e nella comunione notavo sul suo viso un’espressione di pietà, di fede, di amore, di gioia, che sembrava essere infuocato. Erano momenti in cui mi piaceva vederlo. Quando predicava sul SS. Sacramento, lo faceva con termini che mi impressionavano fortemente” (P. O., p. 545).
Un giorno gli domandarono in mia presenza se non aveva paura quando era oggetto di quegli attacchi del demonio; “Oh, replicò, siamo quasi camerati.” Una notte era sommerso in una grande tristezza. Improvvisamente sentì una voce che gli disse queste parole: “Ho sperato in te; non sarò confuso per l’eternità.” Si alzò, aprì il suo breviario e le prime parole che richiamarono la sua attenzione furono precisamente quelle parole del salmo. Il Servo di Dio trovò consolazione” (P. O., p. 548).
“Un giorno chiese a Dio che gli mostrasse la sua miseria, come ci raccontò egli stesso. Dio l’ascoltò ed il Padre Vianney fu quasi tentato di cadere nella disperazione. Pregò, dunque, Dio di non mostrargli più che una parte di essa, e fu ascoltato” (P. O., p. 552).
“Benché fosse circondato ed a volte spinto da una moltitudine indiscreta, benché fosse molestato per domande sconvenienti, interpellato da tutte le parti, era sempre uguale a sé stesso, sempre grazioso e disposto a fare un servizio. Gli piaceva che gli parlassero delle cose di Dio, sapeva far scivolare sempre alcune parole su Dio, perfino nelle conversazioni che sembravano le più indifferenti” (P. O. 553).
“Io so che un giorno un missionario gli disse:
– “Sig. Curato, se Dio le proponesse di andare subito in cielo o rimanere sulla terra per lavorare per la conversione dei peccatori, che cosa farebbe?.”
– “Io credo che rimarrei, rispose.”
– “Ma i santi sono felici nel cielo.”
– “Sì, ma i santi sono santi.”
– Rimarrebbe qui fino alla fine del mondo alzandosi così presto ogni mattina?”
– “Oh, sì, amico mio, non temo il sacrificio” (P. O. 554).
“Non sapeva ricusare niente ai poveri che sollecitavano la sua carità. Non dava, tuttavia, indistintamente a tutti e sapeva dare le sue elemosine con discernimento, dando molto a chi si trovava realmente nella necessità ed una piccola elemosina ai poveri di ogni giorno. Pagava l’alloggio di varie famiglie” (P. O. 555).
“Quando Monsignore Chalandon inviò una circolare per raccomandare che si collocasse una statua della Vergine Maria in ogni località, il Curato d’ Ars disse ai suoi parrocchiani: “Poiché noi abbiamo già una statua della Vergine Maria sulla chiesa, compriamo un bel ornamento in onore dell’Immacolata Concezione.” Questo ornamento tutto coperto d’oro fu usato il giorno stesso della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione” (P. O. 558).
“Durante i dieci ultimi anni della sua vita io ho visto personalmente in che cosa consisteva il suo pasto. Si era visto obbligato ad ammorbidirlo. Ecco, tuttavia, in che cosa consisteva. Di mattina prendeva una tazza normale di cioccolato o di latte. A mezzogiorno mangiava un piatto che gli preparavano. A volte aggiungeva un po’ di dolce, ma se ne privò nei due ultimi anni di vita. Di sera non prendeva niente. Quando faceva molto caldo, accettava a volte di prendere qualcosa. Nei giorni di digiuno mangiava solo a mezzogiorno. Alla fine della sua vita si vide obbligato a prendere di mattina qualcosa. Penso che mangiasse una libbra di pane per settimana. Un giorno stava prendendo il cioccolato e dopo mangiava il pane secco. “Se bagnasse il pane nel cioccolato, gli dissi, sarebbe migliore.” “Oh, mi rispose, lo so”. Ma “non lo fece” (P. O. 561).
“Soffriva molto vedendo il suo ritratto riprodotto in varie forme ed esposto nelle vetrine dai commercianti. Lo chiamava il suo “carnevale.” Non volle mai firmarlo quando ve n’era qualcuno tra le stampe che gli presentavano affinché le firmasse. Mettendolo di lato diceva alle persone: “Questo non serve più di tre giorni all’anno”, alludendo ai giorni di carnevale” (P. O. 565).
“Mi sembra, in primo luogo, che il Curato d’Ars avesse ricevuto da Dio il dono delle lacrime. Lo si vedeva piangere frequentemente sul pulpito, durante la catechesi, nel confessionale, durante le interviste personali, e soprattutto quando parlava dell’amore di Dio, del peccato e di altri temi simili. Secondo l’opinione generale leggeva in fondo al cuore delle persone” (P. O. 567).
La testimonianza del Fratel Atanasio
“Fondò la Provvidenza per l’educazione delle bambine e la scuola dei Fratelli per l’educazione dei ragazzi. Creò queste due attività con i suoi sacrifici personali e con doni che ricevette da persone pie. La scuola per le bambine fu diretta in primo tempo da persone secolari che egli aveva riconosciuto come pie; più tardi fu affidata alle Suore di San Giuseppe. La scuola per i bambini fu diretta dai Fratelli della Sacra Famiglia” (P. O. p. 661).
Ho sentito dire dal Servo di Dio che nei primi anni del suo ministero ad Ars, cioè durante i dieci primi anni, dovette soffrire molte contraddizioni, a causa del suo genere di vita. Arrivarono a gridare sotto la sua finestra e collocare alla porta della casa sacerdotale cartelli ingiuriosi. Scrivevano all’Episcopato contro di lui, ed il parroco di Trévoux venne ad Ars per informarsi sulla sua condotta. Ricevette un giorno da un membro del clero una lettera piena di ingiurie. Il Servo di Dio non aveva dato luogo a nessuna di quelle persecuzioni. Io so che sopportava quel trattamento non solo con pazienza ma anche con gioia. Ricordava più tardi quell’epoca come la più bella della sua vita” (P. O. p. 664).
“Il Padre Vianney arrivò ad Ars come parroco il 13 febbraio del 1818. L’ho sentito dire in una conversazione che gli venne un pensiero singolare nel primo momento in cui vide la parrocchia: È molto piccola, diceva fra sé e sé, ma non potrà contenere tutti quelli che verranno un giorno” (P. O. p. 667).
Gli piaceva “descrivere la felicità dell’anima in stato di grazia e l’azione dello Spirito Santo in essa. Lo Spirito Santo è il nostro conduttore, diceva; l’uomo non è niente da sé stesso, ma è molto con l’aiuto dello Spirito Santo; l’uomo è terrestre ed animale, solo lo Spirito Santo può elevare l’anima e portarla in alto. Mi hanno raccontato che il Padre Lacordaire, avendolo sentito predicare sullo Spirito Santo, rimase tanto meravigliato che lo seguì in sacrestia e lo ringraziò, dicendo: “Mi ha insegnato a conoscere chi è lo Spirito Santo” (P. O., p. 670).
“Mostrò grande spirito di fede nel momento della sua ultima malattia, io sono stato testimone di ciò. Stavo vicino a lui con uno dei miei Fratelli nel momento che gli portavano il Viatico. Quando sentì la campana, si mise a piangere. Il Fratello gli domandò che cosa gli capitava e perché piangeva: “È troppo stanco?” gli domandò – Oh, no, rispose, piango pensando quanto buono è Nostro Signore che viene a visitarci nei nostri ultimi momenti” (P. O., p. 670).
“Il Curato d’Ars si abbandonava interamente nelle mani della Provvidenza. Si compiaceva ricordando l’attenzione che Dio aveva fatto con lui, i beni che aveva ricevuto da lui. Allora ricapitolava tutto quello che gli era successo durante i suoi studi, durante la sua permanenza a Les Noës, in altre circostanze della sua vita ed aggiungeva: sono stato un bambino viziato dalla Provvidenza; non mi sono preoccupato mai di niente e niente mi è mancato” (P. O., p. 806).
“Dio permise che il Padre Vianney fosse oggetto degli attacchi del demonio. Ho sentito frequentemente il Servo di Dio raccontare egli stesso le vessazioni di ogni tipo che aveva dovuto soffrire da parte del nemico della salvezza … Un giorno era a letto da appena un momento; gli sembrò che il suo letto, che era molto duro, diventasse eccessivamente soffice e che egli affondasse come in un divano; contemporaneamente una voce burlona ripeteva: Andiamo, andiamo. Il Padre Vianney fece il segno della croce e tutto cessò subito. Un altro giorno verso sera, trovandosi di fianco al suo tavolo, vide come il recipiente dell’acqua benedetta che stava di fianco al suo letto cadde sul cuscino e poco dopo si rompeva come se fosse caduto dall’alto su una superficie dura; io stesso ho visto i pezzi. Il Curato d’Ars sentiva a volte un rumore infernale nel cortile come se ci fosse un gruppo numeroso di gente che discuteva in una lingua straniera. Altre volte sentiva cantare con una voce stridente, ed egli diceva: l’uncino (le grappin) ha una voce stonata” (P. O., p. 808-809).
“Il buon Curato notava che quei rumori erano più intensi e gli attacchi più inopportuni quando qualche grande peccatore andava a confessarsi o quando lavorava per qualche opera importante che si riferiva alla conversione dei peccatori. Così un giorno mi disse: Sembra che l’uncino non sia contento di questa opera, (si trattava di una fondazione di cinquanta messe che bisognava celebrare annualmente nella cappella della nostra Casa Madre di Belley); fa rumore tutta la notte nella soffitta che è sopra la mia stanza; suona la campanella come per la messa; è una buona scimmia” (P. O., p. 812).
“Il Servo di Dio aveva numerose pene interiori. Era tormentato dal desiderio della solitudine; ne parlava frequentemente. Era come una tentazione che l’ossessionava durante il giorno e più ancora durante la notte. Quando non dormo di sera, mi diceva, il mio spirito viaggia sempre, vado alla Trappa o alla Certosa; cerco un posto dove piangere la mia povera vita e fare penitenza per i miei peccati” (P. O., p. 813).
“Una volta, durante la messa di mezzanotte, l’esecuzione di un canto durante l’elevazione fece attendere alcuni istanti il Sig. Curato per il canto del Padre nostro. E mentre aveva la sacra Ostia sul calice, sembrava molto emozionato: sorrideva e piangeva contemporaneamente. Dopo la celebrazione, il Padre Toccanier gli domandò quale era la causa di quell’emozione tanto profonda. Il Sig. Curato rispose con queste parole: “Dicevo a Dio; se sapessi di non vederti mai nel cielo, non ti lascerei ora che ho la felicità di averti tra le mie mani” (P. O., p. 816).
“Il Padre Vianney parlava molte volte nei suoi insegnamenti dell’amore di Dio; finiva frequentemente con queste parole: “Essere amato da Dio, essere unito a Dio, vivere nella presenza di Dio, vivere per Dio, che bella vita e che bella morte! Quando compativa la sorte dei peccatori, era sempre perché non amavano Dio” (P. O., p. 819).
“Il Curato d’Ars amò molto durante tutta la sua vita i fedeli della sua parrocchia; aveva verso di loro una generosità davvero straordinaria; non si faceva attendere quando lo chiamavano. Perfino nel momento di massima affluenza di pellegrini, lasciava tutto quando uno dei suoi parrocchiani lo chiamava e reclamava il suo ministero o quando lo chiamavano per qualche malato. Anche i fedeli della sua parrocchia lo amavano molto e gli diedero prova di ciò in varie circostanze” (P. O., p. 821).
“Quando arrivai ad Ars nel 1849, la peregrinazione era già molto numerosa. Si poteva calcolare sui 25.000 forestieri che venivano ogni anno a vedere e consultare il Padre Vianney o a confessarsi da lui. Egli già non lasciava il suo confessionario, e un vicario lo sostituiva per le funzioni amministrative. Da quella data vidi come la peregrinazione aumentava, e ci furono più tardi fino a dodici autovetture pubbliche per portare i pellegrini che venivano ad Ars. Frequentemente perfino quelle vetture non bastavano, perché c’era molta gente. Si è calcolato che durante i sei ultimi anni della vita del Padre Vianney la media di pellegrini per anno era di 100.000” (P. O., p. 822).
“Era tanto preoccupato per la conversione dei peccatori che un giorno mi disse in presenza di varie persone: Se avessi già un piede nel cielo e mi dicessero di tornasse sulla terra per convertire un peccatore, ritornerei con piacere. Se dovessi rimanere fino alla fine del mondo, alzarmi a mezzanotte e soffrire come soffro, lo farei con piacere per continuare a lavorare alla conversione dei peccatori” (P. O. 823).
“Il desiderio di lavorare nella conversione dei peccatori lo portò a fondare l’opera delle missioni. Ne ha realizzate circa cento nelle diverse parrocchie della diocesi e perfino fuori di essa, come si può vedere nei registri delle missioni che mi obbligava a tenere. Amava molto questa opera; per questo era molto contento quando riceveva una quantità importante per tale opera. Un giorno mi disse nella sacrestia: “Camerata, si è alzato presto questa mattina? – Come d’ordinario, gli risposi. – Peggio per lei, replicò, se avesse fatto come me, avrebbe già fatta la giornata; mi hanno dato per la fondazione di una missione e perfino in eccesso” (P. O., p. 827).
“Vendeva tutto per dare il denaro ai poveri; così tutti i suoi mobili furono venduti a varie persone. Le cose che non poteva vendere le dava. Bisognava dargli i vestiti e le altre cose man mano che ne aveva bisogno; senza quella precauzione si sarebbe visto nella necessità più completa. Quello che gli davano lo dava a sua volta. Il nostro Superiore generale gli aveva portato da Roma un rosario che il Santo Padre aveva benedetto in maniera speciale per il Curato d’Ars; questo oggetto l’ aveva ricevuto con grande piacere, ma non tardò a privarsene” (P. O., p. 830).
Mi diceva un giorno: “Mi rimproverano di non essere abbastanza severo nelle penitenze che do nel confessionale, e di assolvere troppo facilmente i penitenti. Ma posso io essere severo con gente che viene da tanto lontano, che fa tanti sacrifici e che frequentemente si vedono obbligati a nascondersi per arrivare fin qui?.” Mi diceva un’altra volta: “Un penitente mi domandò perché io piangevo sentendo la sua confessione. Io piango, gli risposi, perché lei non lo fa sufficientemente” (P. O., p. 832).
“Il Curato d’Ars era buono e grazioso con tutti. Quelli che si presentavano li invitava a sedersi davanti a lui; insisteva perfino; ma egli non voleva mai sedersi. La sua formula per salutare i visitatori era: “Le presento i miei rispetti”. Era sempre pieno di attenzione e delicatezza verso le persone che stavano al suo fianco, come sono stato testimone molte volte” (P. O., p. 836).
“Aveva un temperamento molto vivo e credo che se per virtù non l’avesse dominato totalmente, si sarebbe lasciato portare alla rabbia. Per quel motivo si vedeva obbligato, per contenersi, a farsi estrema violenza. Mi sono potuto convincere di ciò osservando alcuni dettagli quasi impercettibili. In certe occasioni quando qualche persona lo importunava molto, ritorceva fortemente un fazzoletto che aveva nella mano; io vedevo nel movimento delle sue labbra gli sforzi che faceva per reprimere l’impazienza” (P. O., p. 848).
“Mitigava la severità del suo regime alimentare quando riceveva i suoi familiari o altri sacerdoti. Quando riceveva questi ultimi, era molto onorevole. Nell’ultima riunione che ebbe luogo ad Ars prima della sua morte, vari sacerdoti partecipanti dissero: Abbiamo avuto il migliore cibo della zona” (P. O., p. 849).
Ho visto per molto tempo nella sua stanza una disciplina appesa alla parete, dietro la tenda, verso la testata del letto. Era formata per due catene di filo di ferro di medio spessore, di una lunghezza di venti o venticinque centimetri, legate ad una corda di canapa annerita per essere stata usata per molto tempo” (P. O., p. 850).
“Due giorni prima della sua morte ero da solo con lui nella sua stanza. Mi disse: “Mi rimangono trentasei franchi; dica a Caterina Lassagne che li prenda e li dia al medico che mi ha curato; quello è tutto quello che mi rimane. Credo che sia più o meno quello che gli devo; e che dopo gli dica che non venga più a vedermi altre volte, perché non potrei pagarlo” (P. O., p. 855).
“Il Servo di Dio aveva soprattutto una tale stima dell’umiltà che ne parlava costantemente, soprattutto dei suoi insegnamenti. Mi diceva frequentemente parlando del nostro Collegio: “Rimanga nella semplicità, quanto più rimane nella semplicità, maggiore bene farà” (P. O., p. 858).
“Secondo la pubblica opinione, il curato d’Ars leggeva frequentemente nel profondo del cuore ed rivelava cose che non poteva conoscere naturalmente. Ho sentito citare un gran numero di fatti di quello tipo. Posso testimoniare i seguenti: Il Fondatore della nostra Società mi ha raccontato che venne ad Ars per raccomandare alle preghiere del Padre Vianney la sua Congregazione quando stava nascendo. Il Curato d’Ars, vedendolo entrare, lo salutò chiamandolo con il suo nome e gli domandò a che punto era la sua opera. Il nostro Superiore non dava credito a quello che stava sentendo: “Ma, come mi conosce, Signor Curato? È la prima volta che ho l’onore di vederla”; “Oh, – replicò – gli amici di Dio si riconoscono da tutte le parti” (P. O., p. 864).
“Prima di venire ad Ars avevo sentito parlare una volta il nostro Superiore Fondatore del Venerabile Servo di Dio. Nel 1849 fui inviato ad Ars per fondare la comunità dei Fratelli. Vidi allora per la prima volta il Padre Vianney. Da quel momento fino alla sua morte le mie relazioni con lui furono molto frequenti. Avevo occasione di vederlo varie volte ogni giorno e frequentemente anche di parlare con lui. Ho letto varie biografie parziali o complete del Venerabile Padre Vianney. La prima pubblicata dal Signor Ginot; la seconda dal Fratel Gabriele Taborin, il nostro Fondatore; la terza dal Padre Monnin, allora missionario diocesano ed oggi nella Compagnia di Gesù” (P. A., p. 1005).